Mercoledì della XXIII settimana (7 settembre 2016)
«Crediamo e perciò comunichiamo». Solo il fuoco che accende il cuore e che apre la strada alla fede nel Risorto ci permette di riversare la nostra gioia sul mondo attraverso il carisma datoci in eredità.
Lo slogan che avete scelto per celebrare il vostro Intercapitolo ben si sposa con la logica delle beatitudini. Esse sono l’espressione più genuina dei “sentimenti di Gesù” (Fil 2,5), del suo modo di vivere, di interpretare la realtà, di amarla. Dai sentimenti di Gesù occorre ripartire sempre, ogni giorno, ogni volta che ci ritroviamo insieme per dirci cosa viviamo, per chiederci dove siamo, dove manchiamo, a che punto del cammino ci troviamo. Il PM chiamava questo cammino d’integrazione col Maestro “cristificazione”. È per questo che viviamo, come battezzati; è a questo cammino che, come religiosi e religiose, aspiriamo, sapendo che è lì il vero tesoro. È lì che desidera essere il nostro cuore. È lì il fuoco che arde.
I sentimenti di Gesù «non sono astratte sensazioni provvisorie dell’animo ma rappresentano la calda forza interiore che ci rende capaci di vivere e di prendere decisioni», come ha indicato Papa Francesco nel suo Discorso al V Convegno ecclesiale della Chiesa italiana (10 novembre 2015). Egli indica tre atteggiamenti fondamentali del Maestro che ne fondano l’essenza:
- L’umiltà: contraria «alla ossessione di preservare la propria gloria, la propria “dignità”, la propria influenza. (…) Dobbiamo perseguire la gloria di Dio, e questa non coincide con la nostra. La gloria di Dio sfolgora nell’umiltà della grotta di Betlemme e nel disonore della croce di Cristo».
- Il disinteresse: «dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto. L’umanità del cristiano è sempre in uscita. Non è narcisistica, autoreferenziale. Quando il nostro cuore è ricco ed è tanto soddisfatto di se stesso, allora non ha più posto per Dio».
- La beatitudine: «nelle beatitudini il Signore ci indica il cammino. Percorrendolo noi esseri umani possiamo arrivare alla felicità più autenticamente umana e divina. Gesù parla della felicità che sperimentiamo solo quando siamo poveri nello spirito. Per i grandi santi la beatitudine ha a che fare con umiliazione e povertà».
Umiltà, disinteresse, beatitudine, quest’ultima intesa come umiliazione e povertà. In altre parole: morire a se stessi. La ricetta della felicità (la beatitudine) è da sempre la stessa: accettare di passare per la morte per sperimentare la vita, quella di Cristo Signore. È questo l’unico percorso possibile.
Rupnik in un suo recente libro sulla vita religiosa indica il bivio davanti a cui siamo ogni giorno, drammaticamente: una strada conduce verso la soddisfazione, che è autorealizzazione secondo criteri mondani, che è realizzazione dei desideri che portiamo in noi riguardo a quanto vogliamo fare o desideriamo essere (individualismo); l’altra porta alla felicità, che è legata alla redenzione, all’unione con Dio, e che passa per la morte del mio “io” (comunione).
Affidiamo al Signore questa vostra giornata di lavori, nello spirito dell’Apostolo Paolo, per noi massimo modello umano di incarnazione della logica delle beatitudini.