Omelia di don Vittorio Stesuri ssp

Esaltazione della croce (14 settembre)

Croce esaltata e croce adorata con infinita riconoscenza e amore per Colui che ha dato e dà la vita per noi. Questa festa nata storicamente con il ritrovamento della Croce di Gesù a Gerusalemme e la costruzione, sul luogo della Passione, della Basilica, fatta da Costantino, ci spinge ogni anno alla contemplazione del mistero che da essa promana. Strumento di tortura e supplizio ignominioso ed umiliante riservato a schiavi e delinquenti essa non veniva inflitta ai cittadini romani; considerata maledizione attraverso le reminiscenze bibliche che definivano «Maledetto colui che pende dal legno».Solo il Figlio di Dio salendovi sopra la trasfigura impreziosendo questo legno del suo sangue, facendolo diventare altare della sua offerta al Padre e baluardo della nostra salvezza, assicurando a noi un destino di gloria e di figliolanza divina che a lui solo apparteneva. Croce simbolo e segno che interpella la nostra vita e sollecita la nostra adesione nella fede. L’evangelista Giovanni collega dunque bene la necessità che venga mostrato il Figlio offerto perché guardando a Lui, come già prefigurato nel simbolo del serpente innalzato da Mosè nel deserto, l’umanità trovi la vita eterna: «Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

La festa odierna certamente è l’elevazione del Cristo redentore: chiunque crede in Cristo e Cristo crocifisso avrà la vita eterna. L’elevazione del nostro Maestro sulla croce costituisce però anche l’inizio dell’elevazione dell’umanità attraverso la croce. E il compimento ultimo di questa elevazione è la vita eterna. Ma come può essere accolta e compresa la croce se non alla luce del dono che Dio fa di sé?

La croce contiene in sé il mistero della salvezza, perché nella croce è quell’amore donato che viene innalzato e dall’altezza della croce quell’amore discende a noi. Bene ricordava san Giovanni Paolo II nella Dives in Misericordia: «La croce è il più profondo chinarsi della divinità sull’uomo. La croce è come un tocco dell’eterno amore sulle ferite più dolorose dell’esistenza terrena dell’uomo» (DM 8). Forse è per questo che la croce viene ad essere motivo della nostra speranza. Essa cessa di essere il segno di una morte infamante e diventa il segno della risurrezione, cioè della vita. Attraverso il segno della croce, non è il servo o lo schiavo condannato ed ucciso che parla, ma il Signore riscattato dal Padre che avvolge nella sua vittoria tutta la creazione e può unirci a sé.

Il nostro fondatore così parla della croce in una meditazione ai nostri Istituti radunati:

Tutti dobbiamo pensare che il Vangelo ci assegna quello che deve essere sulla terra per chi è fedele a Dio. E se non si sarà messi sulla croce (ma tante volte i cristiani sono stati messi sulla croce), ma se non si è messi sulla croce, alle volte ci sono altre sofferenze che son più gravi che morire in croce; ma più gravi erano di Gesù, e non saranno mai le sofferenze nostre, perché oltre le sofferenze esterne, la crocifissione, c’erano ben delle pene immensamente superiori alla sofferenza che aveva nel corpo. Oggi vi son tante anime che capiscono le sofferenze che Gesù aveva nel cuore allora. Nel Medioevo specialmente si consideravano le pene del corpo, le pene esterne. Ma oggi, coi progressi anche della psicologia, si capiscono meglio quali potevano essere le pene del cuore di Gesù… Allora non è necessario che ci siano i flagelli esterni o la crocifissione, dobbiamo alle volte invece subire altre pene. Anime delicatissime che soffrono quando si offende Gesù, quando non si glorifica Iddio come è degno, quando non spendono bene la vita, ma la consumano, la vita, in maniera non buona; anche, qualche volta, cattiva… del castigo eterno. E pure anime che si offrono vittime e soffrono e soffrono, quindi, con Gesù che fu la vittima grande. E noi possiamo essere piccole ostie con Gesù con l’Ostia grande che è lui. Anime che son sensibili alle pene di Gesù, e anime che son sensibili alla perdita di anime, che sono incamminate per la via dell’inferno; alle offese che si fanno a Dio, ai torti e alle persecuzioni che subisce la Chiesa; anime che quindi hanno lo spirito di Dio, e in questo senso umiliazioni e torti che possono subire. E poi possono essere persone che operano tanto bene, son contraddette; persone che meritano di più e sono invece lasciate in un angolo. Chi conosce i disegni di Dio? Ognuno ha una via particolarissima, sua, per santificarsi. Corrispondere proprio al volere di Dio, docili, abbandonati nei voleri di Dio. Quella è la via della propria santificazione. Non aspiriamo ad altro che indovinare il volere di Dio, e docilmente, e lietamente, in gaudio compierlo. Allora che pace c’è nell’anima? Una pace che il mondo non capisce, ma l’anima resta così in pace perché è sicura di aver compiuto il volere di Dio, è sicura di avere guadagnato il merito. E allora, anche quando si arriva alla morte è in pace, perché se Gesù Cristo è morto, è anche risuscitato. E se colui muore, un giorno sarà risuscitato sull’esempio di Gesù Cristo il quale è risuscitato e siede alla destra del Padr1. Così quelli che l’avran seguito saranno glorificati in cielo.

Alle FSP nel 1931 il Primo Maestro dice:

Chi vuol arrivare al paradiso passi per Gesù. Ed ecco le conseguenze che ricaviamo da questa grande dottrina. Se siamo peccatori prendiamo il Crocifisso e diciamo: Questo è il prezzo della mia salute e la mia redenzione è sgorgata da queste sante piaghe. Se abbiamo bisogno di virtù e di grazia, queste ci devono venire dalla santa Messa e cioè dalla croce, Se vogliamo raggiungere la meta, se abbiamo bisogno di verità, prendiamo la dottrina di Gesù. Il Padre ha mandato Gesù Cristo e chiunque lo riceve, lo ama, lo conosce, lo imita, entra nella Chiesa per mezzo del Battesimo, lo riceve nella Comunione, crede nella dottrina della Chiesa, spera in Gesù Cristo e non sarà confuso in eterno. Da qui dipendono tutti i dogmi della teologia paolina; questo è il Vangelo di S. Paolo, non un altro Vangelo, che sarebbe un’ingiuria il pensarlo, ma un Vangelo che S. Paolo prende direttamente dalla croce, prendendone il sangue, la virtù e la verità. Esso è l’applicazione dei frutti della croce a tutti gli uomini, l’applicazione della redenzione a tutto il mondo.

In questo duplice cammino di conformazione al Maestro e di evangelizzazione che annuncia con i nostri apostolati quanto egli ci ha ottenuto, viviamo anche noi il Vangelo di Paolo contemplando la croce esaltata, chiedendo al Padre di trovare come l’Apostolo in essa speranza nuova per tutte quelle situazioni personali, comunitarie e apostoliche che ancora attendono di passare dalla desolazione alla vita trasfigurata, riattivando continuamente nell’oggi la bellezza e la vitalità del carisma a noi affidato e che chiede di esprimersi in tutta la sua vitalità.

don Vittorio Stesuri, ssp